Granchio o son desto?
Un contributo al podcast "We need you!" del Touriseum
Sudavo da due ore, nei soliti abiti da pinguino e mi stavo sciogliendo come l’artico causa surriscaldamento globale. Luisa mi aveva già mandato due messaggi su WhatsApp, non riuscivo a leggerli perché ero imbalsamato nella posizione damerino di sala. Due giovani sposi stavano festeggiando, finisco sempre per accettare questi lavori, tappa buchi, tappa toppe. Sì, perché io e Luisa abbiamo dei progetti, e i progetti si realizzano anche in queste giornate. Ogni volta che lavoro in un matrimonio posso nettamente descrivere la vibrazione della giornata. Li accogliamo con un buffet, finger food nel prato o nel giardino della location, i soliti drink, alcolici e analcolici. Il momento dell’accoglienza è quello più teso perché nonostante conosca il lavoro, sono le persone nuove a creare il movimento. Mi prendo due minuti di pausa dalla sala e mi dirigo sul retro del palazzo, ha delle piccole logge che si affacciano sul cortile interno ma io prediligo un piccolo terrazzo che svela un giardino fitto, disegnato da siepi e trapuntato di rose. Abbiamo appena servito tre primi a base di pesce, mentre i secondi saranno a base di carne. “Vedrai che non dovremmo attendere molto” rispondo a Luisa, sapendo che si sta imbarcando e mi risponderà una volta arrivata a Dubai. La sua amica Nastasia è la figlia di uno sceicco che vuole investire denaro in nuove attività commerciali. Mentre torno verso la sala noto movimenti veloci e slanciati verso la scala interna che porta nelle cantine del palazzo. Non conosco troppo bene il luogo, questa è la terza volta che vengo qui, ma giurerei di sapere che le cantine sono in quella direzione. “Gabriele vieni ad aiutare con i secondi”. Il piatto è così bollente che portarlo a destinazione è la mia unica salvezza, quando lo porgo a una signora sulla sessantina il mio sorriso naturalmente si espande in sollievo. Lei mi sorride con un suo filo rosso di labbra tirato, si prende tutta la calma del mondo per collegarsi alle posate e operare come una piccola chirurga sulla portata a base di manzo in salsa al porto. Ogni matrimonio ha la sua vibrazione, come un’onda che sale e scende, come una marea di emozioni che bagnano e asciugano. Sento una persona che si avvicina a me, la sento attaccata al mio collo. È la signora dal sorriso filo rosso. “Le devo consegnare questo telecomando e la prego di non schiacciarlo fino a mio avvertimento”, sento la mia colonna irrigidirsi e lei che mi mostra la sua borsa piena di granchi vivi. Mi infila il telecomando nei pantaloni da pinguino e in quel momento inizio a tremare davvero di freddo, come se il polo fosse disceso su di me. E poi tutti quei granchi vivi nella borsa. Torno in cucina tormentato dalla paura di schiacciare il bottone del telecomando e vedere l’apocalisse scatenarsi sulle siepi ordinate, sugli invitati. Poi ripenso alle ombre guizzanti nelle cantine e scendo per dare un’occhiata. “Gabriele non è il momento di fare una pausa ora” tuona il mio capo, quello che gestisce centinaia di matrimoni in provincia. Con i soldi che guadagna potrà godersi un altro by-pass e magari finirà per galleggiare per sempre nella sua piscina. Di solito non odio così le persone ma essere sempre al servizio di qualcuno è qualcosa che mi asciuga dentro. Spero che Luisa mi risponda presto e insomma questa cosa del telecomando e dei granchi e delle cantine, insomma ma che razza di turno è? Il momento della torta richiede concentrazione e dinamicità, gestione degli spazi e velocità nel servizio, garantendo alta qualità del servizio ovviamente. È come quando credi di vivere in una realtà, quella sicura in cui ti hanno gettato i tuoi genitori e poi arriva una signora con i granchi nella borsa e un telecomando e tu speri che schiacciandolo tutto si possa fermare, come il video dei Travis in cui si lanciano i polipi in faccia e la signora tira fuori i granchi e li lancia nella sala e non sai se ridere o piangere insomma una melassa gelatinosa di persone che si muove come un blob in questo palazzo liberty.
D’improvviso mi sveglio. Sono le 17 dell’unico giorno di riposo di questa folle stagione post covid dove tutti si sono voluti sposare, hanno voluto festeggiare, hanno dovuto invitare e rivedere centinaia di persone che per due anni, sembrava per sempre, non si erano più riviste.
Ma i sogni non mentono. È ora di cambiare lavoro. Questa esperienza non ha più nulla da insegnarmi.
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Un’ iniziativa del Touriseum nell’ ambito della mostra temporanea "We need you"!